Gli amanti di Magritte

Ti amerò fino ad ammazzarti: l’amore criminale nelle relazioni tossiche

Ti amo, quindi ti ammazzo: due film di qualche decennio fa, uno italiano e uno americano, evidenziano il paradosso di certi stereotipi culturali che arrivavano a giustificare l’omicidio del coniuge. Su questi stereotipi – in particolare sull’idea che l’amore vero sia quello “passionale” – si innesta l’attuale tendenza a sottovalutare i segnali di rischio in una relazione amorosa.
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Il cinema ha spesso rappresentato relazioni d’amore “tossiche”: generalmente in film drammatici, ma talvolta il tema è stato trattato anche in chiave ironica, con un’efficacia inaspettata. È il caso di “Ti amerò… fino ad ammazzarti” e “Divorzio all’Italiana”, due film che denunciano gli stereotipi culturali alla base di azioni estreme come l’omicidio del coniuge. Nonostante siano stati girati qualche decennio fa, mantengono una loro attualità.

Il “masculo” italo-americano

Ti amerò… fino ad ammazzarti ( I love you to death), film di Lawrence Kasdan, girato negli anni novanta negli Stati Uniti, è ispirato a un fatto di cronaca. A un primo sguardo sembra una commedia superficiale, ricca di cliché sugli americani e sugli italiani immigrati. In realtà, in modo sottile e tagliente, mette profondamente in discussione la mancanza di valori che caratterizza le nostre relazioni affettive e la nostra cultura.

Questo film rappresenta in parte il prosieguo di “Divorzio all’italiana di Pietro Germi, girato nel 1961, che critica apertamente la legge sul delitto d’onore. Non a caso le mogli co-protagoniste dei due film, si chiamano entrambe Rosalia.

Nel film di Kasdan, il protagonista Joey (Kevin Kline) è un pizzaiolo adultero, padre di buona famiglia, che dichiara di amare la propria moglie, ma di tradirla almeno “cinque o sei volte a settimana”, perché, a suo dire, è “masculo”, e il “masculo” si sente virile solo se tratta la moglie come una serva e la tradisce sistematicamente. Rosalia (Tracey Ullman), invece, è una mamma che lavora e lo ama profondamente, senza lamentarsi di come viene trattata. Considera Joey un uomo onesto e un bravo lavoratore, lo giustifica ed è contenta di servirlo e riverirlo, perché non considera se stessa importante tanto quanto lui. È un meccanismo comune nella dipendenza affettiva: Rosalia è cieca, non vede i tradimenti, né le disparità, e quando li nota, li giustifica, ignorando i segnali di allarme che il contesto intorno a lei le offre.

Uno “sport nazionale”

Alla fine Rosalia scopre i tradimenti e decide di uccidere Joey, perché – come le spiega anche la madre  – “Uccidere per adulterio è un dovere e nessuno lo scoprirà mai perché siamo in America e in America uccidere è uno sport nazionale”.

Nel film, però, l’omicidio non avviene a causa di una serie di situazioni rocambolesche. La cosa più interessante e sorprendente è che Joey perdona la moglie. Questo gesto paradossale rivela tutta la perversione dei legami patologici: per Joey il tentativo di omicidio è una dimostrazione d’amore passionale. Rosalia gli ha dimostrato di amarlo così tanto da essere disposta a ucciderlo e finire in prigione per lui.

Il titolo del film ironizza su questi stereotipi retrogradi delle relazioni sentimentali di cui la nostra cultura è ancora permeata, che legittimano passioni estreme e un senso di possesso egoistico come misura dell’intensità “dell’amore” che il partner nutre per noi.

Il delitto d’onore

Il film Divorzio all’italiana racconta invece la storia di Fefè (Marcello Mastroianni), un siciliano sposato da 12 anni con Rosalia, una donna assillante da cui non si sente più attratto. Fefè si innamora della cugina Angela (una giovanissima Stefania Sandrelli), ma siamo negli anni Sessanta, e il divorzio in Italia non è ancora permesso (la legge arriverà nel 1970). Quindi opta per il delitto d’onore, l’omicidio del coniuge sorpreso in flagranza durante un adulterio, punito con una pena molto più mite.

Dopo una serie di vicende rocambolesche, Fefè riesce a uccidere Rosalia, sconta solo 3 anni di carcere (pena poi ridotta grazie a un’amnistia) e corona il suo sogno di sposare la cugina.

Un amore criminale

Kasdan e Germi vanno oltre la semplice questione di genere, mescolando i ruoli di vittime e carnefici per attaccare l’ipocrisia sociale che sostiene queste malsane credenze. I registi mettono in ridicolo i ragionamenti assurdi con cui i protagonisti si giustificano, trasformandoli in caricature grottesche: non si comportano come amanti travolti dai sentimenti, ma incarnano una mentalità profondamente criminale. Con un colpo di satira e di commedia, Kasdan e Germi contestano e mettono alla berlina l’ipocrisia delle relazioni tossiche, l’uso indiscriminato delle armi e la manipolazione del sistema giudiziario a proprio vantaggio.

I clichè raccontati in questi film, soprattutto in quello di Germi, sono ancora tremendamente attuali: basta sfogliare le pagine di un qualsiasi giornale per leggere notizie di omicidi, “raptus” e denunce di violenze mai ascoltate.

Quando si parla di relazione tossica?

Senso del possesso, gelosia e mancanza di rispetto sono le basi delle relazioni tossiche. Su queste si innestano comportamenti aggressivi (anche verbali), molestie, maltrattamenti e trascuratezza affettiva.

Per secoli abbiamo creduto che la passione amorosa fosse simbolo di un affetto profondo, ma al contrario rappresenta spesso l’anticamera del maltrattamento. Tornare indietro e chiedere aiuto è difficile, perché la “sposa cadavere” rimane muta.  

Le parole di Mastroianni in Divorzio all’italiana risuonano ancora oggi forti ed emblematiche come un gelido monito: “In questo angolo di Sicilia (o d’Italia, ndr) non sono pochi i defunti per motivi d’onore (o d’amore patologico, ndr). Povera Rosalia, non te lo meritavi, non te lo meritavi. Ma io so che adesso riposi, riposi assieme ai tuoi piccoli, ingenui sogni. Davvero Rosalia, io ti ho anche amata… ma tu eri troppo… troppo … Tu mi chiedevi “quanto mi vuoi bene?”. Eri assetata d’amore, povera Rosalia. Troppo assetata, troppo”.

Se leggendo queste righe ti riconosci in alcune dinamiche, non aspettare a contattarmi

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